Trovo che il film di Roman Polanski “Carnage” del 2011, iconica trasposizione cinematografica della pièce teatrale “Il dio del massacro” (Adelphi) dell’autrice francesce Yasmine Reza, sia un esempio alquanto duro e pregnante di come possa essere esasperato il conflitto tra adulti e di quanto in virtù di questo la comunicazione si deteriori.
Protagonisti sono due coppie dell’upper e middle class newyorchese, parigine nel libro, che si incontrano nel salotto di quest’ultima per risolvere celermente e all’insegna della civiltà e della tolleranza un litigio tra i rispettivi figli, che finisce con delle ferite a danno di uno dei due. La pellicola presenta scene di clima familiare dapprima conviviale che poi scivola lentamente su un piano dove le offese reciproche, inizialmente velate, affiorano fino a far emergere una conflittualità esasperata. Le coppie, prima solidali, si frantumano. Qui il tutto esita in un massacro, dove la perdita di controllo e la sopraffazione emotiva ha la meglio sulla ragione. Alain, personaggio emblematico, crudamente commenta: \”Véronique, io credo nel dio del massacro. È il solo che governa, in modo assoluto, fin dalla notte di tempi.\” Aldilà di qualsiasi lettura filosofico o politica, lo cito qui perchè esemplificativo di quanto la comunicazione si possa deteriorare, di quanto in mancanza di limiti l\’esito di un conflitto possa essere terribile e distruttivo. Immaginiamoci se i figli, in questo caso perlatro oggetto di scontro e conflitto per i loro comportamenti, fossero lì, presenti, spettatori silenti. Pensiamo a quanto potrebbero assistere e pensiamo che in alcuni casi questo non accade solo nei film.
Il bisogno prioritario di un bambino è la sicurezza. Il sentirsi sicuro è correlato all\’avere qualcuno che gli garantisca la sopravvivenza, in diverso modo, in relazione all\’età e sia un punto di riferimento affettivo stabile nelle spinte interne e fisiologiche alla sperimentazione. Difficile essere ascoltato e capito in questo bisogno quando i genitori litigano frequentemente, in modo verbalmente o fisicamente violento o lo espongono a reiterati e improvvisi abbandoni. La situazione subita avrà l\’effetto di generare nel bambino panico, rabbia, frustrazione, colpa, senso di impotenza. Il potenziale rischio evolutivo per il minore è elevato, a prescindere dalle risorse interne che lui possa avere e dai supporti esterni: non è raro trovare esiti evolutivi in cui il figlio \”non perdona\” quanto subito e assume atteggiamenti rancorosi e vendicativi nei confronti dI coloro che lo hanno messo al mondo, più o meno consapevolmente. Il rifiutarsi di andare a scuola, alcuni agiti comportamentali, la ricerca di appartenenza a gruppi devianti, sono solo alcuni esempi di situazioni critiche che alla base hanno dinamiche danno subito-irrisarcibilità: \”ho subito un torto, in qualche modo divengo vendicativo\” e a questo non sempre segue comprensione e \”perdono\”. Si tratta di una dinamica molto difficile da modificare e che può essere un ostacolo alla realizzazione nel minore di un processo di individuazione, che comprende la scelta di obiettivi e finalità proprie da perseguire e per le quali attrezzarsi in vista del futuro. Frequenti, inoltre, sono le difficoltà di autoregolazione e di accettazione del limite, con grosse ripercussioni sulla capacità del bambino di adattamento e di realizzazione.
Il conflitto tra genitori può essere differente e la conseguenza sul figlio dipende dai modi in cui si manifesta e viene agito, gli echi che suscita. Il bambino, in genere, sviluppa uno stato diffuso di ansietà che ne rallenta e complica la normale evoluzione, essendo molto sensibile alle forme negative di comunicazione e alla mancanza di possibilità di risoluzione. Ciò che agisce come fattore protettivo è proprio la possibilità di una soluzione. Discutere davanti ai figli e non litigare ferocemente può avere, per contro, una valenza positiva in quanto il minore apprende che si può avere una divergenza di opinioni o di vedute e che queste possono essere oggetto di confronto anche costruttivo, nel momento in cui si arriva a mediazione e accettazione del limite. Il conflitto, se gestito in modi e tempi buoni permette riorganizzazioni del funzionamento anche in positivo. In buona sostanza, il conflitto non esita sempre in un massacro dove si assiste alla distruzione dei legami senza possibilità di soluzione e chiusura. Talvolta, infatti, promuove cambiamenti e riorganizzazioni di Sè e di Sè in relazione agli altri positive.
PSICOLOGA/PSICOTERAPEUTA
dr.ssa Francesca Mariani