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IL NOSTRO CERVELLO PUÒ INFLUIRE SUL PERCORSO PSICOTERAPEUTICO?

Il cervello è il nostro organo più importante.

Il cervello è un organo estremamente complesso che si è sviluppato in migliaia di anni di evoluzione. Alcune aree del cervello umano sono simili a quelle presenti negli animali meno evoluti, le aree filogeniticamente più nuove sono invece specifiche solo degli esseri umani. 

Un essere umano alla sua nascita ha un sistema nervoso molto immaturo, solo le aree adibite alle funzioni vitali sono pienamente sviluppate, le altre si svilupperanno man mano nel corso della crescita.

Alcune capacità quindi si possono apprendere solo via via che il cervello si sviluppa. Ad esempio la capacità dei bambini di usare la ragione invece che l’emozione per comunicare i propri bisogni si sviluppa intorno agli 11-12 anni, ma la completa maturazione della corteccia prefrontale avviene attorno ai 25 anni.

Le scoperte dei neuroscienziati degli ultimi venti anni, hanno in parte sostenuto cio’ che a livello empirico gli psicologi del XX secolo avevano intuito, ma hanno anche smentito alcune credenze e rivoluzionato il modo di fare psicoterapia

Cosa si è scoperto?

Quello che si è scoperto grazie allo sviluppo delle neuroscienze ad esempio ha enfatizzato il ruolo fondamentale dell’ambiente relazionale in cui cresce il bambino sul suo sviluppo cerebrale, dunque il ruolo sociale e relazionale è fondamentale fin dal primo giorno di vita.

Si è poi visto che la capacità dei bambini di usare la ragione invece che l’emozione per comunicare i propri bisogni si sviluppa intorno agli 11, 12 anni, ma la completa maturazione della corteccia prefrontale avviene attorno ai 25 anni, questo ci permette di spiegare perché la tarda maturazione della neocorteccia rende l’adolescente impulsivo e un sensation seeker* senza che questo abbia la completa consapevolezza delle conseguenze rischiose dei suoi comportamenti.

Queste nuove conoscenze ci guidano in interventi terapeutici più mirati ed efficaci.

 Scopri una delle nostre aree di intervento:

AREA CLINICA

La psicoterapia si prefigge l’arduo, ma non impossibile, compito di modificare il nostro cervello.

Gli studi di neuro immagining ci hanno permesso di vedere come il cervello sia plastico non solo all’inizio della vita, quando il cervello si organizza ma anche durante l’età adulta, ogni volta che qualcosa di nuovo viene appreso e memorizzato. L’esperienza della psicoterapia, attraverso il continuo scambio tra il terapeuta e il paziente, è sicuramente un’esperienza trasformativa nella vita di un individuo, quindi anche la psicoterapia possa modificare il cervello, ad esempio aumentando la funzionalità di alcune aree cerebrali che permettono una maggiore capacità riflessiva e di mentalizzazione.

In pratica la psicoterapia si prefigge l’arduo, ma non impossibile, compito di modificare il nostro cervello!!!!

Nel 1972, un neuroscienziato di nome Paul Mac Lean teorizzò la teoria dei tre cervelli o “cervello tripartito”. La sua teoria è poi stata in parte smentita, poiché non esistono tre cervelli distinti, ma risulta molto utile, seppur sia una semplificazione, ai fini divulgativi ed accademici.

  • Cervello “rettile situato in corrispondenza del tronco encefalico, gestisce i nostri istinti, qui si accendono i sistemi di allarme che ci portano alle reazioni attacco-fuga; esso ricerca sicurezza e si prende cura della nostra sopravvivenza.
  • Cervello “emotivo”, situato in corrispondenza del sistema limbico. È il cervello mammifero, legato ad esperienze emotive, agli aspetti relazionali e di attaccamento, è empatico.
  • Cervello “nuovo”, situato presso la corteccia prefrontale è il nostro cervello pensante, lui pianifica, usa il linguaggio, ragiona in modo razionale e si occupa dei numeri.
Tre cervelli

 

La sua teoria è poi stata in parte smentita dalle più recenti scoperte, poiché non esistono tre cervelli distinti, ma risulta molto utile, seppur sia una semplificazione, ai fini divulgativi ed accademici.

Inoltre risulta utilissima nella psicoeducazione che mettiamo in atto con i pazienti. Sapere come funziona il proprio cervello aiuta i pazienti a comprendere meglio alcune sensazioni, emozioni e comportamenti altrimenti poco comprensibili e quindi vissuti in modo colpevole e giudicante. Come si sa, la colpevolizzazione rispetto a sensazioni distoniche non può motivare al cambiamento duraturo. Questa differenziazione delle aree cerebrali permette ai pazienti invece di essere consapevoli di quale area sia prevalente in situazioni differenti e dunque allearsi con il terapeuta per trovare strategie per integrare le aree e raggiungere stati d’animo e comportamenti più in aderenti con i propri valori e al proprio volere, insomma più aderenti al proprio VERO SE’, dove sensazioni, emozioni e ragione sono in accordo tra loro.

 

Una menzione particolare alla AMIGDALA.

L’amigdala, è una struttura molto piccola all’interno del sistema limbico, ed è coinvolta nella formazione e nella preservazione delle memorie associate ad eventi emozionali.

Lo studioso LeDoux, ha analizzato per anni questo piccolo agglomerato di neuroni a forma di mandorla all’interno del cervello, ed ha potuto spiegare le reazioni comportamentali della paura, legate all’amigdala, cioè la fuga e il freezing

Big Thing: Neuroscienze of Fear, 2010, secondo il neuroscienziato, quando viene rilevata una minaccia l’amigdala prende il controllo del cervello, bloccando ulteriori elaborazioni da parte della corteccia prefrontale.

Questo “potere” dell’amigdala (soprannominata da Van Der Kolk, il rivelatore di fumo, cioè rilevatore di minacce), permette di comprendere perché di fronte ad una minaccia presunta o reale, non siamo più in grado di ragionare, e si innescano reazioni istintive di sopravvivenza come il freezing (congelamento), la fuga, la lotta o il collasso. 

Inoltre La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che i ricordi emotivi e corporei legati al trauma sono immagazzinati proprio nell’amigdala. Mentre le aree di memoria verbale, site nella neocorteccia si spengono quando l’amigdala si attiva. Per questo modo di funzionare del nostro cervello è probabile che le persone che hanno subito un trauma ne abbiano scarsa memoria narrativa, e che invece persista una memoria più sensoriale o emotiva.

Janina Fisher e Van Der Kolk, due esperti internazionali di trauma, attraverso i loro decennali studi con i sopravvissuti al trauma, hanno teorizzato di come gli esseri umani ricordino il trauma attraverso le emozioni e le sensazioni corporee (The Body Keeps The Score, 2014 B. Van Der Kolk). Queste importantacquisizioni permettono ai pazienti traumatizzati di dare senso ai loro ricordi offuscati o nulli, validando il loro stato di forte disagio nella vita quotidiana senza farli sentire “pazzi”o stupidi. 

Come ben ci spiega Janina Fisher, nel suo libro Trasformare L’Eredità Del Trauma, 2021, Il trauma non può essere ricordato nello stesso modo in cui vengono ricordati altri eventi a causa dei suoi effetti sul cervello. Inoltre eventi e situazioni neutre che elicitano sensazioni o emozioni paragonabili a quelle vissute durante un evento traumatico, possono innescare una reazione di intenso pericolo per il soggetto, attivando l’amigdala, perché accendono le memorie traumatiche poste nel sistema limbico. Ecco perché il soggetto non è in grado di distinguere quando si sta attivando per via di una minaccia reale oppure per un ricordo traumatico che si è acceso a seguito di uno stimolo trigger. 

Queste importanti scoperte scientifiche hanno rivoluzionato il modo di trattare il trauma e anche la comprensione di numerose manifestazioni sintomatiche che prima non risultavano direttamente associate ai traumi passati.

Qui troverai tutte le informazioni.

“Il cervello è il più complicato di tutti gli organi, ed è per questo che ne è il capo”.

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PSICOTERAPEUTA

Dr.ssa Valentina Benvenuti

* Sensation seeking

Con il termine si intende un tratto della personalità caratterizzato dalla ricerca di sensazioni ed esperienze costantemente nuove, varie, complesse e intense accompagnata dalla volontà di correre rischi fisici, sociali, legali e finanziari in nome di tali esperienze (Zuckerman, 1994, p. 27). Questo può essere rilevato ricorrendo a degli strumenti di misura, tra cui la Sensation Seeking Scale-V (SSS-V) che va a scomporre il tratto del sensation seeking in quattro dimensioni: ricerca del brivido e dell’avventura, ricerca dell’esperienza, disinibizione e suscettibilità alla noia (Zuckerman et al., 1978). Una delle spiegazioni maggiormente accreditate alla base del sensation seeking si basa su un modello in cui fattori genetici, biologici, psicofisiologici e sociali influenzano determinati comportamenti, atteggiamenti e preferenze dell’individuo (Zuckerman, et al., 1980). Coloro che presentano dei livelli elevati di sensation seeking sono propensi infatti a emettere dei comportamenti che aumentino la quantità di stimoli di cui far esperienza nella quotidianità.

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